Dite la verità, ci avete provato anche voi almeno una volta a riportare una vostra immagine in stile studio Ghibli utilizzando ChatGPT, vero? Noi ci abbiamo provato e chiaramente l’effetto è stato sbalorditivo visto come l’Intelligenza Artificiale riesce a riportare in formato Miyazaki qualsiasi fotografia gli si metta a disposizione. Nell’utilizzare l’applicazione però ci siamo accorti che forse è doveroso fare una riflessione su questo trend, ovvero ci siamo accorti che c’è comunque qualcosa che non torna. Che cosa? Lo scopriamo oggi insieme.
Studio Ghibli: storia di un movimento
Esatto, quando si parla di studio Ghibli non si può ridurre tutto semplicemente ad uno stile visivo da emulare. Ghibli è una visione del mondo, è la visione del maestro Miyazaki. Come vedremo, le AI stanno snaturando la visione del maestro e i fan sono pronti ad una battaglia che svincoli il lavoro del creatore di Totoro dal plagio.

Infatti, anche se le immagini create da ChatGPT in modalità Ghibli funzionano molto bene sui social, il mondo del maestro di Totoro è unico. Una dimensione simbolica, lenta, contemplativa. Non si può semplicemente prendere un’immagine della propria infanzia e plasmarla ad immagine e somiglianza di un protagonista di Miyazaki, perché noi siamo cresciuti con quei protagonisti, ed erano belli proprio perché evocavano qualcosa nonostante noi non ci somigliassimo per niente.
ChatGPT ha sbagliato qualcosa?
Forse il punto è che ancora non ci siamo, c’è ancora qualcosa che non torna. Nonostante la bellezza visiva o la potenza degli strumenti di AI generativa, alle immagini create in stile ghibli manca ancora qualcosa, quel dettaglio che nasce da una profonda riflessione sulla natura, sull’infanzia, sull’identità, sul rapporto tra tecnologia e spiritualità.

Ridurre tutto questo ad una riproduzione sin troppo stereotipata delle nostre immagini – che poi il pensiero di chi ha inventato lo studio Ghibli, ovvero Hayao Miyazaki – significa provare a suonare la musica classica con soli quattro accordi.
Studio Ghibli, Miyazaki e il preset visivo
Il lavoro dell’autore de “Il Mio Vicino Totoro” o de “La Città Incantata” non può essere ridotta ad un semplice preset visivo. Nonostante le immagini AI “alla Ghibli” siano fortemente riconoscibili e altrettanto nostalgiche, alla lunga rischiano di banalizzare qualcosa che in realtà è nato per essere controcorrente rispetto alla cultura del consumo veloce.

Miyazaki non ha mai inseguito le mode. Anzi, il maestro ha sempre cercato di rallentare, di scavare a fondo nelle emozioni, di proporre un’estetica che fosse in primo luogo profondamente umana. Le AI generative, per quanto affascinanti, si muovono oggi in direzione opposta. Le AI producono contenuti in serie, rispondono a prompt semplificati, e soprattutto raramente si pongono la domanda più importante di tutte: perché raccontare questa storia?
Ecco perché dire che lo “stile Ghibli” è diventato un trend è, per molti, una semplificazione che toglie valore a quello che è un vero e proprio movimento artistico. Non perché non sia bello vedere reinterpretazioni creative, ma perché non possiamo dimenticarci che il vero Ghibli non è un filtro. È un modo di vedere il mondo.