Non solo scevà /ə/ e asterischi: la comunicazione inclusiva è un vero e proprio linguaggio, la cui caratteristica fondamentale è quella di arrivare a chiunque. Con comunicazione inclusiva intendiamo una forma di scrittura e/o di parlato in grado di tener conto di tutte le differenze e di modellarsi al fine di non escludere le persone.
Specialmente nella nostra epoca, quella dei social, prestare attenzione a chi riceve il nostro messaggio è essenziale. Ai marchi, dal più grande al più piccolo, è chiesta un’attenzione sempre maggiore allo stile con cui veicolano il loro messaggio. Il contatto con il loro pubblico è fondamentale, e trascurarne una parte risulta più che mai controproducente.
Per questo motivo chi si occupa di UX (user experience) cerca sempre di più di far collimare un design inclusivo con una comunicazione inclusiva. Che questa evoluzione nella comunicazione possa sembrare forzata ai più è solo una riprova della sua necessità. Ciò significa anche che potrebbe non essere così facile comprenderla e, soprattutto, metterla in atto.
Cosa è la comunicazione inclusiva di preciso
Abbiamo appurato che la comunicazione inclusiva è uno stile di veicolazione del messaggio che non discrimina e al tempo stesso è completamente accessibile. Se di solito l’attenzione si concentra principalmente sulle questioni legate al genere, devi tener da conto che questa è solo una piccola parte. Le differenze sono anche legate all’età, alla cultura, alla religione, alla disabilità, all’aspetto fisico, all’orientamento sessuale… e così via.
Adottare una comunicazione inclusiva significa anche togliersi di dosso pregiudizi e cliché ormai radicati da anni nella cultura comune. Un esempio? Dare per scontato che sia la madre a prendersi cura della prole a casa mentre il padre è a lavoro. O che un criminale sia straniero. Questi ed altri stereotipi possono portare ad una discriminazione e distorcere, volenti o nolenti, il messaggio.
Un altro esempio di comunicazione inclusiva è quella che riesce ad essere davvero accessibile a chiunque, magari con i sottotitoli ad un video o con un testo alternativo alle immagini.
Come adottare una comunicazione inclusiva
Riuscire a stilare un testo inclusivo non è immediato. Anche se si hanno le migliori intenzioni, non è detto che si riesca sempre ad avere una visione oggettiva. Per poter includere chiunque è necessario fare un vero e proprio sforzo empatico e andare oltre a quelli che sono i canoni dettati dalle nostre posizioni.
La prima cosa da fare, quindi, è porsi delle domande: tutti possono rispecchiarsi in quanto ho scritto? Ho tralasciato una o più fette di pubblico? In genere, la risposta è “sì”, ma basta qualche piccolo accorgimento per rimediare.
Un altro punto su cui porre attenzione è sicuramente la difficoltà della forma: un messaggio troppo articolato o mirato viene recepito solo da una determinata fetta di pubblico. Quest’approccio è valorizzante solo se si sceglie di rivolgersi ad una specifica nicchia, magari anche tecnica, che già si conosce. Diversamente, si potrebbe perdere un po’ di audience.
Esempi di copywriting inclusivo
Quando si parla di copywrting inclusivo, tendenzialmente si cerca di andare oltre al gap di genere che è attualmente ancora molto diffuso. Il primo esempio a venire in mente è il largo uso, in italiano, del maschile sovraesteso per riferirsi a gruppi non omogenei o ad un’audience non specificata.
È l’italiano stesso, però, a darci delle alternative altrettanto valide. È infatti possibile usare delle perifrasi, cambiare il soggetto della frase ed omettere sostantivi, pronomi e aggettivi, oppure fare uso di sinonimi. Emblematico il caso delle schermate iniziali dei vari servizi che ti dicono “benvenuto”.
Una semplice perifrasi ti permette di rendere completamente neutro il tuo saluto. Come? “Ti diamo il benvenuto”.
Quando si parla invece di gruppi non omogenei possiamo usare dei sostantivi generici che specificano la categoria e non la persona. Invece di parlare di professori, si può tirare in campo il corpo/personale docente, al posto degli scienziati possiamo citare la comunità scientifica. Se preferisci non scadere troppo nel generico, puoi anche scegliere di usare un pronome indefinito, nominando chi scrive, invece dello scrittore.